Skip to main content

Dopo l'attacco russo in Ucraina.

Quello che sta succedendo sul terreno.

Quanto accaduto alle prime ore del mattino nell’estremo est, prefigura la possibilità che, per la prima volta da moltissimi anni, i due blocchi, quello Repubblica Federale Russa e quello Usa allargato alla Nato, possano trovarsi impegnati concretamente in uno scontro diretto ed in una probabile guerra guerreggiata. In questi ultimi trenta, quaranta anni, le due compagini hanno spesso calcato gli stessi teatri di impiego, ma sono stati quasi sempre coinvolti in scontri locali o regionali a bassa intensità, con realtà impegnate in azioni di conflitto su scala locale e limitata, sia come qualità ed impiego di risorse approntate, che come volontà di generare una escalation in grado di non poter più essere contenuta e controllata. Non di rado poi, i due blocchi militari, si sono addirittura trovati a fronteggiare quello che è stato sempre definito come un “nemico comune” trovandosi dallo stresso lato della barricata nella lotta, anche con l’impiego della Forza Armata, a contrasto del terrorismo prima di al-Queda e poi di Isis-Daesh, caso questo nel quale sia pur in modo non ufficialmente dichiarato, la concomitanza di target condivisi, ha visto combattere questi due schieramenti con gli stessi obiettivi strategici e tattici, ed in pratica come se si trattasse di alleati.

Quello che va drammaticamente prefigurandosi è invece uno scenario totalmente diverso, nel quale per la prima volta si troverebbero a combattere eserciti così potenti su fronti opposti, condizione questa che non si era concretizzata neppure negli anni ’80 ai tempi della invasione sovietica dell’Afghanistan, circostanza nella quale gli alleati preferirono, giustamente, opporsi alla macchina da guerra sovietica non in maniera frontale, ma piuttosto supportando, addestrando e finanziando la guerriglia dei mujaheddin.

Tutto quello che sta accadendo in queste ore va interpretato riterrei, come da un lato espressione della volontà del presidente russo Putin di far capire di che pasta sia, fatto e di essere in grado di passare alla azione se ritiene di avere le ragioni per farlo, abbandonando istantaneamente le cautele ed il confronto dialettico per lasciare che a parlare sia il suo temibilissimo apparato militare, immaginando che, vista la partita in gioco e gli strumenti di attacco e di deterrenza dei quali dispone, i suoi avversari non si azzarderanno ad alzare il livello di scontro e non andranno oltre un livello di belligeranza per lui assolutamente gestibile e sostenibile, anche in termini di opinione pubblica. Dall’altro lato appare evidente come, fintanto che le azioni si limiteranno ad attacchi più o meno mirati contro installazioni strategiche militari, civili ed industriali e non si arriverà alla azione diretta delle forze di terra, gli resti spazio per raccogliere i risultati che si è prefissato senza oltrepassare la linea degli “stivali sul terreno” segno questo che, una volta varcato, lascia molto meno spazio alla negoziazione e che necessariamente comporterebbe una qualche risposta da parte della, finora timida, compagine occidentale.

Fintanto che, non ci saranno soldati russi a combattere ed a occupare concretamente la capitale ucraina e le maggiori città, compresi i porti e gli aeroporti, ci sarà spazio per le pur complesse manovre diplomatiche e le due cancellerie ben sanno che la situazione attuale concede ancora a tutti gli attori coinvolti di limitare i danni in termini di credibilità e di rapporto, costi-benefici. Putin ha mostrato al mondo di cosa è capace contro chi ritiene essere suo nemico e gli alleati della Nato si guardano bene, almeno per ora, dal farsi trascinare concretamente in uno scontro diretto.

Certo che, qualcuno sta imparando a proprie spese, quanto diverso sia confrontarsi con i cosiddetti “satrapi locali” come Saddam o Assad e ben altra cosa sia provare a fare giochi di forza con un apparato militare come quello russo e con il marzialista Vladimir Putin.  

Aspetti relativi all’Intelligence.

I ragionamenti fatti in precedenza, ci portano ad una serie di ulteriori valutazioni, ovvero ai rischi relativi all’aprirsi di un fronte di guerra con la Russia, rischi questi che non restano certamente confinati all’interno delle zone nelle quali si combatte. Uno stato, ma sarebbe più corretto dire, una superpotenza come quella della Repubblica Federale Russa, ha ambasciate e rappresentanze diplomatiche in tutto il mondo ed un apparato di intelligence, potente, pericoloso, consolidato e ramificato. Credo che affrontare il rischio che in caso di guerra generalizzata, potrebbe indurre gli uomini dell’intelligence russa ad attaccare con azioni “terroristiche” mirate, ideate e condotte dall’interno ed all’interno dei paesi ove è in grado di operare e si è consolidata, paesi suoi nemici in terra di Ucraina, sia qualcosa tutt’altro che remoto e davvero preoccupante e che debba essere tenuto nella giusta considerazione. Inoltre sarebbe questo uno scenario che fino ad ora non si è mai verificato neppure quando sembrava che prima al-Queda e poi Isis-Daesh fossero in grado di proporre attacchi strutturati in moltissime località del globo e di seguire una agenda del terrore e di conflitto su scala globale e non solo locale o regionale. Confrontarsi con quei gruppi terroristici è stato complicato, ma per nostra fortuna, quei gruppi, non dispongono di un apparato bellico sofisticatissimo ed addestrato e non hanno a disposizione agenti “in sonno” pronti ad essere attivati e, in casi estremi se necessario, a colpire selettivamente obiettivi lontanissimi dal campo di battaglia ucraino.

Inoltre l’accendersi di un conflitto esteso, darebbe l’opportunità ai gruppi terroristici che negli ultimi anni ci hanno attaccato e colpito, di riguadagnare spazio e di infilarsi nelle maglie allargata di una attenzione degli stati, necessariamente rivolta verso il contrasto del comune nemico russo. Non bisogna dimenticare anche che malgrado la comprovata ostilità del governo di Putin verso il terrorismo di origine jihadista, una situazione come quella che si va prefigurando, potrebbe generare alleanze temporanee e sinergie inaspettate, inimmaginabili e certamente, l’impegno a livello mondiale sin qui profuso per combattere il terrorismo islamista, subirebbe necessariamente un rallentamento, sia in termini di finanziamento che in quelli tattici, vista la necessità di combattere un nemico certamente molto più pericoloso e performante.

Credo sia il caso di riflettere sulla sfida che una tale situazione comporti per l’apparato di intelligence dei paesi coinvolti e per il nostro.

Mi piacerebbe davvero molto capire cosa i consiglieri militari abbiano prodotto nei breefing che la mattina all’alba, Biden conduce come i suoi predecessori, con i suoi responsabili dei settori militari e dell’intelligence. Perché se fino ad ora, provando ad immaginare, nei report e nei meeting i capi degli Stati Maggiori e dell’intelligence, gli potrebbero aver raccontato che il presidente Putin avrebbe accettato, pur se sbraitando, l’ipotesi che un paese ricco e da sempre considerato parte integrante della Russia, sarebbe comunque diventato un alleato della Nato ed al suo interno sarebbe stato possibile installare sistemi missilistici in grado di trasportare ordigni nucleari, credo che in queste ultimissime ore potrebbe esserci stato un problema, la cui portata ridimensionerebbe persino l’entità della figuraccia fatta fare alla presidenza USA con le false provette all’Onu o con l’incapacità di ascoltare i segnali di pericolo che arrivavano da chi aveva segnalato le strane attività che il gruppo di Mohamed Atta stava facendo in una scuola di volo in territorio americano.

In conclusione credo che non siano da sottovalutare le complicazioni derivanti dalla necessità di far accettare dal parlamento e dalla opinione pubblica la possibilità di inviare in zona di guerra soldati italiani che, per la prima volta dal 1940, si troverebbero ad affrontare un nemico senza l’ombrello dell’alibi della “missione umanitaria” ma come conseguenza dei vincoli che ci legano all’Alleanza Atlantica, senza più scuse ne giri di parole.