Attentato a Kabul. Si fa presto a dire "vendetta!"
Quindi sarà vendetta.
Lo dice, con toni drammatici, il più pallido ed apparentemente inadeguato presidente degli Stati Uniti del quale si abbia memoria. Ma per farlo, per vendicarsi, in maniera davvero efficace e “performante” c’è bisogno di individuare obiettivi, di poter svolgere attività Humint, di una organizzazione capillare sul terreno e di uomini delle SF che agiscano senza ulteriori distrazioni e senza essere sottoposti a pericoli addizionali, ovvero c’è assoluta necessità di tutta quella struttura che è stata appena dismessa, smontata, aggiungerei, in fretta e furia e con risultati la cui gravità è sotto gli occhi del mondo intero.
In realtà, in termini di mera vendetta, le opzioni militari sul tavolo di PotUS sono certamente più di una, fra le quali, è facile immaginare, vi sia quella che maggiormente mette al riparo da possibili perdite, ovvero l’attuazione di strike attraverso l’impiego della terza dimensione operando attacchi portati da aerei e da droni.
Ora, qualcuno sa spiegarmi come questo possa avvenire, senza aggiungere rischi all’impresa già di suo complessa, in casa dei talebani? Oppure si può immaginare che nuove imprevedibili alleanze stiano nascendo?
Come potranno gli Stati Uniti, immaginare di inviare uomini delle Forze Speciali sul terreno quando i referenti del cosiddetto Governo Talebano, i loro improponibili “partner strategici” del momento, coloro che dovrebbero se non offrire supporto, quantomeno chiudere un occhio e non assumere atteggiamenti ed azioni ostili nei confronti dei soldati USA, sono soggetti ufficialmente ricercati dalle autorità di mezzo mondo comprese quelle statunitensi e su alcuni dei quali pendono taglie?
Mi chiedo anche come si possa immaginare di mantenere una seppur minima capacità di controllo rispetto a ciò che accade, quando abbiamo tolto e svuotato tutti gli assetti di intelligence, di ascolto elettronico, di capacità di contrasto. Dovremmo forse terzializzare al governo talebano, la necessità di eliminare nostri nemici, o sarà più probabile che gli stessi chiudano un occhio se toglieremo loro castagne dal fuoco, ridimensionando il fenomeno Daesh, rallentando la rinascita di al Queda e lasciando che gli ex studenti coranici vivano una stagione di egemone controllo della galassia jihadista?
In fine vorrei chiarire un aspetto. L’attentato di ieri arriva come logica conseguenza di una serie incredibile di errori e di imperdonabili bruttissime figure. La semplicità con la quale gli attentatori si sono potuti avvicinare ai loro obiettivi è direttamente proporzionale al vuoto di pianificazione strategica e di attuazione tattica conseguente al subitaneo abbandono del territorio da parte delle forze alleate. Un aeroporto dal quale evacuano o tentano di farlo migliaia e migliaia di persone, nella confusione più totale, va protetto assicurando il controllo di chi circola nell’area ed effettuando quantomeno un dispositivo di sicurezza a cerchi concentrici. La confusione da girone dantesco che si è generata poteva solo costituire il miglior terreno di azione possibile per chi vuole colpire. Era scritto da tempo ed era stato ripetutamente ribadito il fatto che, una volta abbandonato il terreno, lo spazio sarebbe diventato l’arena sula quale le più diverse firme del terrorismo conosciuto si sarebbero scontrate ed avrebbero provato, chi a riprendere credibilità, chi a compiere azioni tese al proselitismo, chi a tentare una rinascita dalle ceneri.
Agendo come abbiamo agito abbiamo dato la stura alla barbarie che torna a minacciarci, non solo in quei posti disgraziati e lontani, ma anche nelle nostre città, perché mai come adesso, ci potremmo trovare di nuovo nel centro del mirino e potremmo assistere ad una rinascita di fenomeni terroristici che erano stati marginalizzati e costretti, confinati, in spazi e luoghi lontani.