Cosa davvero potrebbe essere fatto in tema di contenimento del rischio rapimenti.
Affronto questo tema da anni e malgrado il clamore che accompagna episodi come questi, appare evidente ogni volta di più, come sia sempre più impellente la necessità di fare in modo che tutte le aziende che inviano espatriati in territori a medio ed alto rischio, debbano seguire regole precise attenendosi a protocolli di sicurezza, di comportamento e di cautela negli spostamenti e nella permanenza, regole queste che allo stato attuale vengono emanate e seguite dalle grandi aziende, che dispongono di uffici sicurezza appositamente creati, mentre le medio piccole vivono in una condizione di inadeguatezza e di grande, enorme rischio.
Intanto varrà la pena a mio avviso, chiarire un aspetto fondamentale. Contenere il rischio rapimenti significa anzitutto tutelare la vita di nostri concittadini e ridurre l’impatto che simili azioni hanno sulla credibilità di un paese come il nostro. Un sequestro di espatriati, non è più ai giorni nostri, qualcosa che riguardi l’azienda, le sue casse, i sequestrati e le loro famiglie. Un rapimento di connazionali in un paese ad alta criticità, rischia in primis di poter essere drammaticamente sfruttato a fini propagandistici dai movimenti del jihaad e di finire in tragedia e poi di condizionare le scelte strategiche del governo, spostando equilibri nelle dinamiche di relazione con i propri alleati e con i governi dei luoghi nei quali il sequestro si verifica. Ammesso che di “governi” in taluni casi si possa parlare.
Quindi smettiamo di pensare al fatto che possano essere affari che riguardano la grande azienda, oppure la piccola sub-appaltatrice, i gerenti di una qualche tribù di un luogo sperduto, od un clan locale.
Quando il rischio è quello di veder finire in TV o su Internet, un proprio concittadino che in ginocchio viene giustiziato, quello che si deve prevenire è un assassinio oltre che una enorme ricaduta in termini di credibilità relativa alla capacità di prevenire e di gestire situazioni così drammatiche.
Per non parlare di quelli che sono i costi in solido da affrontare nella gestione di una attività di negoziazione. Aerei di stato o della AM che vanno e vengono trasportando team di specialisti e materiali sofisticati. Parcelle da pagare ad intermediatori a capi clan ed a consulenti. Per mesi. Senza parlare del riscatto che tutti negano ma senza il quale non si potrebbe arrivare alla soluzione del caso.
Varrà la pena chiedersi quindi se non sia arrivato finalmente il momento di sedersi e di studiare qualcosa che riduca di gran lunga la possibilità che simili accadimenti avvengano.
Il contenimento di simili fenomeni è attuabile solo grazie ad investimenti ed alla pianificazione di attività che regolino l’arrivo, la permanenza in situ, gli spostamenti, la scelta del luogo abitativo e di lavoro, ed il rimpatrio degli espatriati. Questa pianificazione e le azioni che ne conseguono, sono ormai uno standard per quanto riguarda le grandi aziende, che emanano regole, fanno formazione, contrattualizzano accordi con società di sicurezza che provvedono ai servizi di protezione e con broker assicurativi che garantiscono in tempi brevi l’invio di mezzi aerei o navali in caso di necessità di evacuazione. Investimenti cospicui. Personale qualificato dedicato. Regole e procedure diffuse. Formazione. Ed un filo diretto con il MAE con il quale confrontarsi su tutte le tematiche specifiche.
Questo è il sistema di contenimento del rischio messo in atto dalle grandi aziende del settore Oil and Gas o delle costruzioni.
E le medio piccole? In genere sono lasciate libere di fare e di agire secondo le differenti sensibilità, i rispettivi budget e le singole capacità. Non esiste uno standard al quale attenersi e gli espatriati che lavorano per queste realtà, si muovono spesso unicamente basandosi sulla loro esperienza che deriva da anni di permanenza in determinati scenari.
Non è un caso infatti se a pagare pegno, a volte in maniera drammatica, siano proprio i dipendenti delle aziende medio piccole che lavorano per realtà che sono sub-contractors delle grandi capofila.
In pratica è come se la grande firm apra un ombrello di contenimento del rischio e di protezione per il proprio personale presente in “teatro” e poi le piccole sub contrattiste provino a ricavarsi un piccolo spazio, qualora ve ne sia, sotto quell’ombrello protettivo. Per questo poi succede che tecnici partano ma non arrivino a destinazione e ci si accorga la mattina dopo del sequestro, che altri loro colleghi circolino senza un servizio di scorta o di protezione, che nessuno sia dotato di rilevatori di posizione o di sistemi di allarme in grado di raccogliere e segnalare una anomalia, che nessuno sia stato davvero istruito su come fare, come e quando muoversi, quando ed ogni quanto tempo chiamare, come segnalare un incidente, come scegliere un autista od un interprete, insomma su come evitare che si vada dritti incontro ad un problema che sappiamo come inizia ma sul cui epilogo non si può certo stare tranquilli affidandosi al caso.
I primi passaggi da attuarsi potrebbero essere due. L’istituzione di una cabina di regia governativa, in grado di raccogliere dati, monitorare ed emanare regole, suggerire strategie e vigilare sull’ottemperamento delle norme. Il secondo dovrebbe essere quello di creare una regola normativa in grado di far nascere anche in Italia, delle realtà che possano provvedere alla sicurezza delle aziende che si muovano in territori a medio ed alto rischio. Queste realtà esistono e fanno fortuna in paesi nostri alleati e confinanti e sono una delle ragioni per le quali il rischio di rapimenti di tecnici inglesi o francesi, solo per fare due esempi, è di fatto piuttosto ridotto se non annullato, rispetto a quanto purtroppo accade ai nostri concittadini. Ma su questo specifico tema, chi mi conosce e mi segue sa già quanto tempo abbia speso per cercare di sensibilizzare chi di dovere.
Carlo Biffani
Ma cosa può e deve fare un piccolo o medio imprenditore che si trovi nella condizione di non rinunciare ad una opportunità di business in un paese a rischio come è la Libia attuale? Dovrebbe rivolgersi ad aziende italiane, ne esistono, che hanno familiarità ed esperienza con interventi in aree ad alta conflittualità e che siano specializzate nella analisi e nel contenimento del rischio. Dovrebbe affidare a questi specialisti una valutazione globale sui rischi e sulle contromisure da attuare, dovrebbe chiedere loro di formare il personale che si recherà in quelle zone e dovrebbe poi individuare insieme a questo tipo di aziende i partner locali più affidabili in termini di protezione, di fornitura di collaboratori locali quali autisti ed interpreti. Dovrebbe sempre informare il MAE della presenza di personale espatriato, fornendo liste aggiornate su chi va e chi viene. Sono tutte operazioni che hanno costi non proibitivi e che abbattono considerevolmente la possibilità che si verifichino atti infausti se non addirittura drammatici ed alla luce dei fatti, inaccettabili.