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Nizza, Vienna, e cosa altro ancora...?

Il terrorismo jihadista negli anni ci ha abituati a questo genere di attacchi ed alla loro distribuzione nello spazio e nel tempo.

Sappiamo ormai che il loro modus operandi lì fa divampare come fiammate dopo periodi di apparente stasi, spesso prendendo a pretesto, inneschi causati da provocazioni esterne più o meno presunte o reali.

Ciò che sfugge ai più è l’aspetto della preparazione nel tempo, della tempistica nella scelta di farsi attore e di decidere di agire, scelta questa che comporta, appunto, dei tempi che possono variare a seconda della complessità del tipo di attacco che si vuole compiere e della vulnerabilità dell’obiettivo selezionato.

Si può partire dalla Tunisia con un probabilmente ancora vago progetto e poi perfezionarlo cammino durante, ben sapendo che molto difficilmente si verrà intercettati se non si commettono errori, quali ad esempio quello di cercare, frequentare, od anche solo parlare con soggetti residenti, attenzionati dalla intelligence del paese che si attraversa o da quello dove si vuole compiere l’azione.

Non serve una chissà quanto attenta pianificazione. 

Occorrono piuttosto due elementi. Determinazione e ferocia, con una maggiore quantità del secondo elemento, visto che ci si propone di accoltellare inermi e di spiccare teste. Sparare ad un civile inerme è ben altra cosa dal decapitarlo.

Diverso è il discorso se si vuole agire con armi da fuoco attaccando una capitale europea.

Bisogna studiare, pianificare, approvvigionarsi delle armi, del munizionamento, selezionare il percorso che si vuole compiere, immaginare quale sarà la reazione delle forze di sicurezza ed approntare le proprie contromisure. 

L’aspetto del reperimento degli “strumenti” è qualcosa di davvero complesso, soprattutto se come nel caso di Vienna, si parte da una storia personale già nota alle Forze di Polizia. 

L’intelligence e le forze di sicurezza monitorano da anni i flussi ed i canali di approvvigionamento di armi e munizioni gestiti dalla malavita e dalla criminalità organizzata, flussi che sovente arrivano proprio dall’est Europa e la criminalità si muove in questo settore con grande circospezione.

Vendere armi a dei rapinatori o ad un gruppo che si propone di assaltare un portavalori, ha ben altra valenza rispetto alla accusa di averle fornite a chi sospettato di terrorismo o peggio ancora accusato di strage e questo, la criminalità lo sa bene. Commettere un errore simile può costare davvero caro e significare non un mero rallentamento del business ma la fine della corsa.

Quindi, in questo secondo caso, il rischio di venire “intercettati” durante le fasi preparatorie è davvero molto alto.

Bisogna poi ragionare su un altro aspetto, ovvero su come e quanto si sia in grado di intervenire, in fase di reazione e con quali assetti, in casi come questi. 

Affrontare ed inattivare un uomo armato di coltello che sta agendo all’interno di un luogo chiuso è certamente diverso dal fronteggiare ed eliminare un terrorista che si muova di notte in contesto urbano, con dotazioni tattiche individuali da assalto. 

La cosa difficile è proprio quella di continuare a sostenere investimenti, addestramento, miglioramento delle dotazioni e delle procedure, anche nei momenti di apparente stasi.

Nizza, Avignone e Vienna sono state tre terribili e violente fiammate.

Riterrei che l’incendio che costoro si propongono di causare, sia tutt’altro che scongiurato e che le sfide che ci attendono ancora siano davvero molte.