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Isis-Daesh: evoluzione di un fenomeno

La cadenza è ormai settimanale. L’escalation tanto temuta della quale cercavamo di individuare i segnali rivelatori come se questi fossero nascosti, occultati e non sotto gli occhi di tutti, c’è già stata ed è un evoluzione sia in termini di diffusione degli attacchi, che in ordine alla “applicabilità” su scala globale, del nuovo modello operativo.

Commetteremmo un errore se pensassimo che Daesh, abbia abbandonato l’idea di attaccarci con azioni eclatanti sul modello del Bataclan. Niente può dare a quel gruppo terroristico, la visibilità, la sensazione di invincibilità, la percezione di pericolosità e quella di essere dotata di un esercito in grado di portare i combattimenti sin dentro le nostre città, che assicurano azioni portate a termine da un team di assalitori che spara, prende ostaggi, ingaggia un conflitto con le nostre forze di sicurezza e poi si immola.

Ma come è noto, preparare azioni sul modello di quelle parigine, comporta una attenta pianificazione, la creazione di un team attraverso la selezione, una serie di sopralluoghi, la necessità di finanziamenti e di collegamenti tanto fra i membri del commando quanto con una necessaria regia remota e conseguentemente presuppone una organizzazione verticale, l’implicazione di almeno una decina di soggetti e la circolazione di denaro, aumentando esponenzialmente l’esposizione e di conseguenza le probabilità di essere scoperti, catturati ed assicurati alla giustizia prima che l’attacco sia compiuto. Le azioni eclatanti, come fu per le Torri Gemelle o come è stato per Parigi nel novembre 2015 sono difficilmente replicabili perché il modello di prevenzione e difesa, di individuazione e contrasto della minaccia, è qualcosa di vivo, capace di imparare dagli errori e di adeguarsi e plasmarsi a seconda delle necessità.

Sotto questo aspetto, la vera anomalia fu quella della riuscita di due attacchi a Parigi, perpetrati con modalità analoghe a distanza di mesi e, di fatto riusciti, senza che il modello di difesa avesse sviluppato, come dire, i dovuti anticorpi.

Al momento attuale, mi sia consentito il paragone, un po’ come fa un pugile che non riesce più ad attaccare con forza vibrando colpi potenti ma che ha capito che anche il suo avversario è in difficoltà, Daesh si sta “limitando” allo pianificazione ed allo svolgimento di azioni che hanno come scopo quello di dimostrarci che è ancora in piedi, al centro del ring, e che malgrado i colpi durissimi che ha incassato perdendo l’Iraq ed il petrolio, Mosul e buona parte della Libia che controllava, è ancora pericolosamente forte e ci costringe a tenere su la guardia. Lo fa con azioni isolate, poco strutturate, elementari in termini di pianificazione e realizzazione, ma continue, in pratica senza soluzione di continuità, cercando di generare in noi una emorragia in termini di perdita di fiducia nel nostro sistema di difesa e di contrasto. Se non può assestare la zampata mortale del felino che aggredisce la mandria, si accontenta di farsi insetto e di infliggere mille, continue, sanguinose infettanti punture.  

C’è un aspetto, un rischio, che gli esperti di antiterrorismo segnalano da tempo ed è quello delle autobomba. Periodicamente e sempre con maggiore insistenza, i responsabili delle Forze di sicurezza occidentali, ci mettono in allerta riguardo alla possibilità che il cosiddetto Stato Islamico sia in grado di attaccare le nostre città, utilizzando lo strumento che così largamente e pericolosamente è stato impiegato in Siria, In Iraq e negli altri teatri nei quali si combatte, ovvero le auto ed i camion bomba.

Osservando le immagini registrate ieri dalle telecamere di sicurezza in Svezia, non ho potuto fare a meno di osservare come il terrorista, l’autista del camion, anziché continuare la sua corsa lungo la strada scelta per la strage, abbia deciso scientemente di infilarsi quasi dentro la struttura, di fatto compiendo una semicurva e rallentando la sua corsa, fino a sbattere violentemente contro una costruzione, rischiando peraltro di rimanere gravemente ferito. Il tipo di manovra, somiglia tanto a quella compiuta in casi analoghi da chi voleva, alla guida di un mezzo, finire la propria corsa facendosi saltare in aria e demolendo la struttura contro la quale si era indirizzato. Se pensiamo ai precedenti attacchi con camion ariete, non li abbiamo mai visti compiere una manovra di questo tipo. La loro corsa si è sempre esaurita con una traiettoria più o meno rettilinea e mai con la ricerca di un urto frontale contro un palazzo od una struttura muraria. Questa mattina hanno iniziato a circolare informazioni, ancora da verificare, sulle presenza a bordo di esplosivo, circostanza questa che renderebbe comprensibile la scelta di fermare la propria corsa contro un edificio anziché continuare a correre cercando di investire quanti più passanti possibile.

Staremo a vedere cosa diranno le indagini, ma temo che questo possa essere almeno un abbozzo operativo del tanto temuto step successivo, quello del quale dovremo preoccuparci davvero e che innalzerà ancora la qualità, la pericolosità, il livello ed il tipo di minaccia.