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Carlo Biffani: Intervista sui security contractors (1)

1. Quali ritiene possano esser state, e siano eventualmente ancora, le ragioni per le quali in Italia il settore della sicurezza privata non è riuscito a sbocciare come in altre realtà europee e non solo? Le difficoltà sono individuabili a mio parere in due principali ambiti: il primo è quello che implica e presuppone una scarsissima capacità di immaginare modelli di sicurezza partecipata. Il tema della sicurezza e della difesa nel nostro paese sono sempre stati appannaggio di realtà statuali, con l’impiego residuale di risorse della sicurezza privata in ambiti dove non è richiesta una particolare capacità tecnica e quasi unicamente all’interno dei confini nazionali. Una qual certa accelerazione al processo di modernizzazione quantomeno nell’approccio al tema è stato possibile grazie alla creazione della norma che prevede l’utilizzo di personale armato di IdV a bordo di navi battenti nostra bandiera, a difesa dal rischio pirateria, ma si tratta di un modello di impiego che è ben lontano da quello normato ed utilizzato in paesi nostri alleati. Esiste poi un problema di carattere per così dire “etico”. Troppi fra i nostri connazionali identificano ancora il professionista della security e del risk managment con il mercenario vecchia maniera. 2. L’alta frammentazione e specializzazione delle forze dell’ordine italiane può aver contribuito alla mancanza di un pieno sviluppo del settore privato? Tuttavia, seguendo un ragionamento di natura prettamente economica, ed alla luce degli onnipresenti tagli sia al personale che alle risorse (come previsto dal Decreto Minniti 2017), non si sarebbe dovuto, o potuto, vedere un processo di apertura verso il settore privato per far fronte ad eventuali ‘buchi’ nel settore della sicurezza? Il peso degli Apparati e dei Corpi di Polizia ha certamente avuto voce in capitolo rispetto alla capacità di frenare, in qualche misura, la crescita e l’espansione del mondo della sicurezza privata. Una qual certa diffidenza da parte degli Organi di Polizia nei confronti di un mondo certamente complesso e variegato come è stato sino ad oggi quello della sicurezza privata, è certamente comprensibile ma alla luce delle attuali esigenze e delle criticità correlate al tema delle minacce terroristiche, credo che sarebbe davvero sensato immaginare scenari di impiego più attinenti e rispondenti al quadro odierno. Resto dell’idea che la prevenzione ed il contrasto dei fenomeni terroristici e criminali debbano essere appannaggio unico degli apparati statali ma sono convinto del fatto che sinergie ed interazioni con il mondo della sicurezza privata possano e debbano essere individuate e promosse. 3. Data la Sua esperienza e posizione nel settore, ritiene possibile un avanzamento della normativa italiana in materia di sicurezza privata nel breve periodo? I recenti cambiamenti in materia di sicurezza dei vascelli italiani in aree a rischio pirateria possono essere un valido esempio (max. 5 anni) Come accennato brevemente in un passaggio precedente, quello della Legge sull’impiego di personale armato su navi di bandiera, rappresenta un passaggio essenziale ed un enorme balzo in avanti in merito alla possibilità di individuare processi normativi che consentano al mondo della sicurezza privata di tenersi al passo con le attuali minacce e di poter rispondere in maniera performante ed adeguata. Restano molte però le sfide alle quali bisognerà poter dare una risposta in termini di tempo possibilmente brevi. Mi riferisco soprattutto al supporto sul terreno a tutte le medie e grandi aziende italiane impegnate in aree non permissive che attualmente per poter proteggere il proprio personale ed i propri assetti sono in qualche misura costrette ad acquistare servizi da società anglosassoni con rischi correlati alla protezione delle informazioni ed alla possibilità di essere percepiti non tanto come realtà italiana in tutto e per tutto, ma come partnership fra l’Italia ed altri paesi che non sono ben visti in talune zone. 4. Data la presenza in territorio Italiano sia di Istituti di vigilanza che di servizi fiduciari, può questa differenza essere fonte di confusione e frammentazione che non aiuta a creare sinergia, ordine e coesione nel settore della sicurezza privata? Il problema a mio avviso è da individuarsi principalmente nel corpus del Testo Unico sulle Leggi di PS che risale in larga parte agli anni ’30. Malgrado alcuni aggiornamenti, non tiene a mio avviso debitamente conto di quanto il mondo, le minacce che lo caratterizzano, ed i rapporti fra pubblico e privato siano diversi da quando quel testo fu ideato ed approvato. 5. La Sua decennale esperienza nel settore della sicurezza ed eventualmente i Suoi contatti con anche il settore della sicurezza pubblica potrebbero offrire un valido spunto alla seguente domanda: come potrebbe descrivere la collaborazione tra il pubblico e privato? La definirei complessa, per certi aspetti farraginosa e certamente migliorabile. Credo che il percorso di avvicinamento sia certamente iniziato e credo che il Pubblico guardi con sempre maggior interesse e con sincero rispetto alle realtà private ma sono anche convinto del fatto che il percorso di avvicinamento, di reciproco sostegno e di riconoscimento della utilità di entrambe le risorse sia ancora in divenire, che richieda molto tempo ed uno sforzo comune non indifferente. 6. La Sua compagnia (Security Consulting Group) è da ritenersi una compagnia di sicurezza privata legalmente parlando o va a situarsi in un nuovo settore nella materia? La nostra è a tutti gli effetti una società di servizi. Noi svolgiamo il ruolo di facilitatori nella individuazione di soluzioni nell’ambito del comparto sicurezza, tanto in ambito nazionale che in quello internazionale. Non abbiamo mai svolto attività che fossero al di fuori di quanto previsto dalla Legge. Se un cliente ha bisogno di muoversi in ambiti complessi ed in aree a media ed alta conflittualità, lo assistiamo progettando le azioni e le attività utili a contenere il rischio, e lo affidiamo a risorse locali attraverso il network che in 25 anni abbiamo realizzato in giro per il mondo. Il nostro è un mestiere fatto di relazioni, di capacità di muoversi in determinati contesti, di abilità nel raccogliere informazioni e nel produrre policy, procedure, regole, formazione, insomma soluzioni che spaziano in maniera davvero vasta e complessa.