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Mentre festeggiamo la vittoria

Anche se restano da definire e da comprendere nel dettaglio, tutti gli aspetti che caratterizzano l’attacco, che parrebbe essere di matrice islamica, avvenuto poche ore fa a Liegi, da parte di un uomo che ha sparato numerosi colpi di ama da fuoco e che ha ucciso due poliziotte ed un passante prima di essere abbattuto all’arrivo sul posto di altro personale della polizia belga, anche ad una prima sommaria analisi appaiono evidenti alcuni aspetti che differenziano questa azione, da quelle alle quali siamo stati purtroppo abituati ad assistere da almeno 4 anni a questa parte. Intanto colpisce quella che sembrerebbe essere stata la successione degli eventi. Parrebbe infatti che l’omicida sia stato fermato per un controllo di routine e che durante tale attività assolutamente consueta e normalmente considerata relativamente sicura in termini di esposizione al rischio da parte del personale che la esegue, il probabile terrorista sia riuscito a disarmare uno degli agenti ed a aprire il fuoco uccidendoli entrambi e colpendo in maniera letale un passante.

Sembrerebbe possibile quindi, se questa successione dei fatti fosse confermata, la non premeditazione, ovvero la mancanza di pianificazione e la scelta di far prendere agli eventi una piega tanto drammatica determinata da opzioni e situazioni generatesi sul momento, anziché sulla base di un progetto pianificato da tempo. Invero, quella di riuscire a disarmare un agente, o più in generale un operatore di sicurezza, è stata considerata da diversi “soldati del califfo” anche nel recente passato e persino nel nostro paese, come una opzione tattica percorribile, ma resta sempre una azione piuttosto complessa da portare a termine e sensibile di innumerevoli variabili così difficili da affrontare e risolvere, da rendere il più delle volte vano il tentativo.

Esisterebbero però testimonianze che porterebbero ad una possibile sequenza dei fatti sostanzialmente diversa e ben più preoccupante. Sembrerebbe infatti, anche se tale possibilità sarebbe ancora da accertare, che per la prima volta l’attentatore sarebbe ricorso ad una sorta di attacco “misto” ovvero all’utilizzo di armi da taglio con le quali avrebbe prima aggredito le due poliziotte alle spalle per avere la meglio ed effettuare il disarmo delle due malcapitate, utilizzando poi le armi sottratte per finalizzare l’azione, esplodendogli contro numerosi colpi. Se confermata questa successione dei fatti, ci troveremmo allora di fronte a qualcosa di pianificato e di estremamente pericoloso.

Resta il fatto che il tentativo di disarmo ai danni di personale delle Forze di Sicurezza da parte di soggetti che successivamente è stato possibile ricollegare al fenomeno del terrorismo di matrice islamica si erano già verificati nel 2015 e nel 2017 qui da noi e che un episodio analogo, anche se non ne è stata mai definitivamente chiarita la matrice terroristica, era capitato poco più di un anno fa, nel giugno del 2017 a Monaco in Germania, quando durante un controllo di documenti ed una identificazione in una normalissima attività di presidio di obiettivi sensibili, si era scatenato un conflitto a fuoco che aveva portato al ferimento di una poliziotta.

Restano sullo sfondo alcune considerazione e domande che sarebbe utile, oltre che lecito, porsi.

Intanto non bisogna mai dimenticare che quello di riuscire a portare attacchi con armi da fuoco nelle nostre città, è e resta uno degli obiettivi primari, principali, per il terrorismo di origine salafita e che si rifà alla fatwa (eterna, sarà bene ricordarcene) proclamata dal Califfo al Baghdadi. Nulla ha il potere di richiamare alla guerra, non ancora né terminata né definitivamente vinta, come il rumore di armi semiautomatiche che irrompe nella nostra quotidianità. Le azioni armi in pugno, trasmettono un messaggio di morte molto più efficace e duraturo di quello pur devastante e drammatico raccontato dai corpi straziati da un camion o da quelli feriti da un arma quale un coltello da cucina. L’utilizzo di un arma da fuoco, soprattutto se strappata al nemico, ha un potere molto più remunerativo in termini di capacità di “affascinare” e fare proselitismo, richiedendo capacità tattiche e determinazione sicuramente maggiori rispetto a qualsiasi altra tipologia di attacco non convenzionale sul tipo di quelli ai quali Daesh/isis di ha abituati nell’ultimo periodo.

Il contrasto a questo tipo di terrorismo, impone inoltre una sfida in termini di sostenibilità economica, di non facile soluzione. Così come ebbi a scrivere immediatamente dopo i fatti di Charlie Hebdò e qualche mese dopo in occasione della notte dell’attacco allo Stadio di Francia, ai bistrot di parigi ed al Bataclan, il tema dell’addestramento, delle dotazioni e della preparazione del personale di polizia è stato e resta centrale. Lavorare su modalità di approccio e su procedure, in maniera incessante, oltre che sull’addestramento al combattimento in situazioni di impiego complesse, è qualcosa che non può più essere trascurato e che comporta, come è ovvio che sia, una serie di investimenti che impatteranno in maniera severa sui costi da affrontare che si sommeranno a quelli necessari per sostenere dispositivi di presidio e di controllo del territorio già in essere e molto dispendiosi.

La guerra che questo terrorismo ci ha dichiarato è lungi dall’essere terminata e se è pur vero  che il numero di foreign fighters ancora latitanti si è di gran lunga ridotto rispetto ad anni fa, fino a raggiungere attualmente cifre che è sensato immaginare nell’ordine di qualche centinaio, la loro pericolosità e l’esperienza acquisita in combattimento, rendono questi soggetti estremamente pericolosi ed in grado di infliggere colpi davvero durissimi all’interno dei nostri agglomerati urbani e delle città in cui viviamo.