Mass shooters: attacco a Las Vegas
Il recente, drammatico attacco perpetrato da Stephen Paddock rende a mio parere necessarie, una serie di considerazioni in termini di analisi dell’accaduto e di difesa delle persone che dovessero trovarsi in futuro, malauguratamente coinvolte in un simile, terrificante contesto.
Ritengo sia importante iniziare intanto dai dati che caratterizzano questo specifico attacco e successivamente, prendere in esame le possibili contromisure in termini di strategia difensiva.
Ma iniziamo dai dati:
• Si tratta di una azione pianificata nel dettaglio, sia in termini tattici, che di contromisure difensive. L’assalitore infatti avrebbe studiato la tipologia di eventi che si prestavano ad un siffatto attacco, partendo dall’idea iniziale ed adattandosi al contesto senza venire meno all’idea caratterizzante e, per certi versi ispiratrice ovvero, concentrarsi su manifestazioni all’aperto ad altissima densità di partecipanti, svolti in luoghi rispetto ai quali fosse possibile individuare ed acquisire una posizione di tiro dominante. In termini realizzativi, una volta individuata la situazione che meglio si adattasse alle sue esigenze, ha iniziato dal prenotare ed affittare una camera che gli permettesse di osservare in maniera ampia il settore di tiro e di introdurre con le dovute cautele (aspetto questo che necessariamente significa margini temporali di preparazione ampissimi) le armi, le munizioni e gli strumenti che gli consentissero di attuare un attacco di quel tipo. Un'altra delle caratteristiche che rende questo attacco diverso da quelli che lo hanno preceduto, sta nel fatto che l’autore si sia dedicato con estrema attenzione al posizionamento di un sistema di difese passive, ovvero di osservazione di quanto accadeva nei momenti di presenza, ma verosimilmente anche in quelli di assenza dall’albergo, così da potersi proteggere e da sapere se il suo progetto fosse stato scoperto da qualcuno. Inoltre nel momento dell’azione, il posizionamento delle telecamere nascoste, gli avrebbe consentito di accorgersi dell’arrivo delle Forze di Sicurezza sopraggiunte con aliquote tattiche in grado di contrastarlo ed interrompere la sua azione.
• L’autore ha individuato una linea tattica di azione che si è basata sul saturare l’area occupata dalle vittime, con il maggior numero possibile di colpi ed il presupposto irrinunciabile per ottenere un simile risultato, era quello di poter disporre di armi che sparassero in modalità rapidissima se non full-auto. Per ottenere il suo obiettivo, ferma restando la necessità di utilizzare armi che non sparassero unicamente a colpo singolo od a raffica controllata (3 colpi massimo) aveva due possibili opzioni tattiche e doveva partire dalla necessità di modificare le armi in dotazione. La prima era quella di introdurre un numero notevolissimo di armi e di munizioni così da non dover effettuare cambi-caricatore riducendo al massimo i rischi relativi ai tempi morti e la possibilità di dover affrontare possibili malfunzionamenti determinati dal surriscaldamento della canna e delle parti di scorrimento, con la certezza in quel caso, di non poter continuare la sua azione a fuoco. Oppure avrebbe potuto scegliere di introdurre un numero certamente più ridotto di armi di quanto non abbia fatto, concentrandosi sulla possibilità di utilizzarle a rotazione e di perfezionare al massimo le sue capacità di risolvere possibili malfunzionamenti e di enfatizzare attraverso l’addestramento le sue capacità manuali, riferite soprattutto ai cambi caricatore ed alla soluzione di inceppamenti. Sia come sia ha scelto la prima opzione, verosimilmente perché questa gli consentiva di non dover raggiungere un livello di addestramento particolarmente elevato, considerazione che ci porta direttamente al punto successivo.
• L’attentatore pur essendo un tiratore capace era tutt’altro che super addestrato. Comprendo come questa affermazione possa sembrare quasi paradossale e spero non irrispettosa nei confronti delle 600 persone coinvolte nella tragedia, ma si basa unicamente sulla analisi dei numeri. Stando a quanto riportato dagli organi di stampa, al concerto erano presenti circa 20.000 spettatori disposti su un area per la maggior parte priva di possibili ripari. L’azione dallo sparo della prima raffica si sarebbe protratta per circa dieci minuti. Moltiplicando i 10’ di fuoco per una media di circa 500 colpi al minuto, con una stima sensibilmente al ribasso rispetto alle cadenza di fuoco reale, compresa tra i 700 ed i 900 colpi al minuto ottenibile con il tipo di armi utilizzate dall’assassino di Vegas, si possono ipotizzare circa 5000 colpi sparati su una massa di persone inermi, con un munizionamento come il 223 Remington od il 308 Winchester, che da una distanza di circa 400 metri (tale sarebbe, metro più metro meno lo spazio coperto dai tiri di Paddock) può certamente essere letale. Se si considera quindi il numero di persone uccise e ferite rispetto ai colpi sparati si ottiene una media di poco superiore al 10%, ma se si calcola il numero di persone coinvolte nella azione a fuoco mettendo in relazione il numero dei presenti (circa 20.000) con quello delle vittime (circa 600 fra morti e feriti) la percentuale precipita (fortunatamente!!!) fino a qualcosa di inferiore al 5%. Ricapitolando, quindi, in una azione a fuoco portata a compimento con armi in grado di sparare munizionamento comparabile a quello comunemente definito “da guerra” ed in grado di funzionare in modalità full auto, un tiratore allocato in posizione dominante e difficilmente individuabile, malgrado possa fare fuoco a ripetizione, liberamente e senza essere disturbato o contrastato, contro una massa di persone stipata in uno spazio privo di ripari in grado di proteggere le vittime, riesce ad uccidere e ferire un numero pari a meno del 5% dei presenti, senza contare il fatto che nel novero dei feriti ve ne saranno certamente un numero consistente non attinto direttamente da colpi di arma da fuoco. Se questa vi sembra “geometrica potenza” o vi appare il risultato della infallibile azione di un killer super addestrato, decidetelo voi. Resta il fatto che, a mio parere il vero elemento di novità introdotto in questa azione è quello della scelta della posizione dalla quale fare fuoco individuata dal terrorista. Sparare dall’alto consente di dominare la scena, di poter protrarre la propria azione per un periodo di tempo maggiore di quanto non accada in una azione nella quale l’attaccante si muove sullo stesso piano orizzontale nel quale agiscono le vittime, perché maggiore è il tempo richiesto alle Forze di Sicurezza per raggiungere l’assalitore e neutralizzarlo a meno che le autorità preposte non abbiano predisposto un servizio di anti-sniping ovvero di tiratori scelti in grado di individuare e neutralizzare la minaccia pur se questa agisce da distante e da posizione defilata.
• Strategia difensiva. Nel mio vademecum dal titolo “DIFENDERSI DA UN ATTACCO TERRORISTICO” ho preso in esame tutta una serie di azioni portate a compimento da assalitori che hanno agito singolarmente od in gruppo, sia propriamente armati, ovvero con armi da fuoco, o che abbiano utilizzato altri sistemi di attacco. In questo drammatico, specifico caso, mi sembra corretto aggiungere un ulteriore considerazione. Da attacchi simili ci si può difendere unicamente allontanandosi quanto più rapidamente possibile dalla scena (cosa questa che banalmente presuppone almeno la possibilità di partecipare all’evento indossando scarpe chiuse che ci consentano una fuga veloce e che non ci lascino esposti alla possibilità di ferirci ai piedi mentre si corre via) oppure utilizzando un riparo, che deve avere due caratteristiche. La prima è quella di nasconderci alla vista del tiratore. Questo tipo di riparo pur non avendo requisiti tali da permettergli di resistere meccanicamente ai colpi in arrivo, non ci fa apparire ed individuare come dei bersagli acquisibili. Se non mi vede non esisto e di conseguenza il terrorista si concentrerà verosimilmente su bersagli che può vedere ed ingaggiare. La seconda caratteristica relativa alla utilità ed alla scelta di un riparo invece è quella che vuole che questi siano in grado di resistere al potere di penetrazione di cui è capace il munizionamento utilizzato dal terrorista, come nel caso di Las Vegas, ovvero di celarsi dietro o sotto ad oggetti di una certa consistenza come camion, furgoni, fioriere di cemento, o sdraiarsi dietro a strutture in muratura. Non di rado, infatti in situazioni simili, la polizia interviene con mezzi blindati, dietro ai quali fa riparare e muovere le persone fatte oggetto dell’attacco per allontanarle dalla scena del crimine. Una autovettura non costituisce in genere un riparo sufficientemente sicuro dal punto di vista balistico ma è certamente in grado di proteggerci dalla vista dell’assalitore. Per quanto 10’ rappresentino un lasso di tempo davvero lunghissimo, sarà comunque importante così come ricordato più volte nel mio libro, ripetere a noi stessi che nel volgere di pochissimo tempo, l’azione del terrorista sarà interrotta dall’intervento delle forze di sicurezza e che quindi una volta raggiunto un riparo adeguato, si tratterà unicamente di aspettare che chi di dovere, intervenga in maniera risolutiva. Un'altra sostanziale differenza ed un innegabile vantaggio nell’affrontare una situazione come quella della quale si discute, sta nel fatto che non dovendo fronteggiare assalitori che si muovono nello spazio occupato dalle vittime ma che sono costretti ad agire da una posizione fissa, la fuga che le vittime debbono attuare è unicamente collegata alla necessità di trovare un riparo od uscire dal raggio di azione del tiratore senza rischiare di vedersi inseguire dal terrorista stesso. Dover scappare sapendo che si può essere inseguiti, in termini di ansia e di quantità di paura generata, è certamente peggio che sapere di avere buone possibilità di sopravvivenza una volta raggiunto un riparo dietro al quale nascondersi. Resta comunque fondamentale essere in grado di comprendere, malgrado la musica ad alto volume, la concitazione, gli spari, i feriti e le urla, da dove stia facendo fuoco il tiratore e quale sia la direzione più sicura verso la quale muovere. Togliersi nel più rapido modo possibile dalla line ai di tiro, trovare un riparo, osservare quello che accade e se si hanno informazioni utili riferirle al numero di emergenza. Non siete spacciati e potete sopravvivere.